Affrontare le sfide delle neoplasie mieloproliferative in fase accelerata e blastica

Commento a cura del Dott.ssa Novella Pugliese
La storia naturale delle neoplasie mieloproliferative croniche prevede che in una percentuale di pazienti possa avvenire un’evoluzione verso una fase accelerata e, infine, in una crisi blastica, entrambe gravate da una prognosi infausta. Queste entità differiscono sia nella biologia sia nel panorama genomico dalle AML de novo e risultano meno responsive ai trattamenti standard disponibili.
L’impossibilità attraverso gli attuali score prognostici, inclusi quelli basati sul rischio molecolare, di prevedere quali pazienti evolveranno verso una AML e l’inefficacia dei trattamenti convenzionali, soprattutto nella popolazione anziana, aprono delle sfide ben lungi dall’essere superate. In questa review viene affrontato il dilemma delle scelte terapeutiche ma, nel contempo, viene prospettato lo sviluppo di studi clinici con nuovi agenti combinati. Soltanto attraverso una migliore conoscenza dei meccanismi biologici che sostengono l’evoluzione leucemica e dei meccanismi di resistenza alla terapia potremmo modificare la prognosi dei nostri pazienti.

Background

Le neoplasie mieloproliferative (MPN) Philadelphia-negative (Ph-), che comprendono la trombocitemia essenziale (ET), la policitemia vera (PV), la mielofibrosi primaria (PMF), la mielofibrosi post-PV (PPV-MF) e la mielofibrosi post-ET (PET-MF), possono tutte evolvere verso una malattia in fase accelerata (AP) o blastica (BP), storicamente associate a una prognosi infausta. Ad oggi, in assenza di linee guida condivise basate sull’evidenza, gli approcci terapeutici in questi pazienti sono eterogenei e diventa sempre più urgente comprendere meglio in quali soggetti vi sarà la trasformazione in malattia AP o BP, quando e come intervenire e quali agenti inducono una vera modifica nel decorso della malattia.

Definizione della fase di malattia

MPN-BP: persistenza di blasti ≥20% nel sangue periferico (PB) e/o nel midollo osseo (BM)
MPN-AP: persistenza del 10-19% di blasti nel sangue periferico (PB) e/o nel midollo osseo (BM)

MPN in fase accelerata: come definirla meglio?

La fase blastica è solitamente preceduta dalla fase di malattia accelerata, sebbene possano verificarsi rari casi di trasformazione diretta.

Dati emergenti suggeriscono che la % di blasti necessaria per la diagnosi di MPN-AP dovrebbe forse essere ampliata. Infatti, da uno studio retrospettivo, i dati di sopravvivenza dei pazienti con blasti nel PB ≥4% o blasti nel BM ≥5% sono risultati simili a quelli di pazienti con MPN-AP e il 10% di blasti. Alcuni clinici stanno quindi riconoscendo quei pazienti con il 5-9% di blasti come “MF con blasti aumentate-2 (IB-2)”, su cui è potenzialmente necessario un approccio più aggressivo.

Come stimare il rischio di trasformazione?

Attualmente nessun biomarker è in grado di predire accuratamente la trasformazione. I fattori prognostici sono storicamente considerati l’avanzare dell’età, il tipo di malattia, la sua durata, l’esposizione ad agenti dannosi per il DNA, il grado di trombocitopenia, la conta dei blasti PB/BM, la citogenetica sfavorevole, i tipi di mutazione driver e la presenzadi mutazioni ad alto rischio. Tuttavia, spesso questi fattori si rivelano inadeguati per una prognosi accurata e il rischio di trasformazione resta ad oggi imprevedibile.

Biologia della trasformazione

L’evoluzione della neoplasia mieloproliferativa nelle fasi accelerata e blastica è il risultato della complessa interazione tra “paesaggio” mutazionale delle cellule staminali emopoietiche, dominanza clonale, modulazione epigenetica e microambiente pro-infiammatorio.
In seguito all’acquisizione di una mutazione driver da parte di una cellula staminale emopoietica (HSC), la complessa interazione tra il “paesaggio” mutazionale delle HSC e le cellule non clonali, la modulazione epigenetica e il microambiente pro-infiammatorio facilitano l’espansione clonale e lo sviluppo di MPN. Successive mutazioni tempo-dipendenti facilitano la progressione; il microambiente ostile assieme a uno stato di infiammazione cronica e alla perdita dell’immunosorveglianza causano l’evoluzione clonale e la progressione della malattia verso le fasi accelerata e blastica.
Chemioterapia intensiva (IC) convenzionale per MPN-BP
La chemioterapia intensiva in soggetti idonei con MPN-AP o MPN-BP può indurre una remissione completa (CR) o CR con recupero incompleto della conta, ma richiede il consolidamento con un trapianto allogenico di cellule staminali, quando possibile. È, quindi, l’attuale standard of care in una piccola minoranza di pazienti idonei al trapianto; tuttavia restano ancora delle questioni aperte in merito a regime ottimale, numero di cicli e profondità della risposta richiesta prima del trapianto.
Trapianto allogenico di cellule staminali (allo-SCT)
Il trapianto allogenico di cellule staminali è l’unico intervento curativo con potenziale beneficio di sopravvivenza a lungo termine nella MPN-AP e -BP. Tuttavia, spesso si tratta di un’opzione non attuabile a causa dell’età avanzata dei pazienti, delle elevate comorbidità presenti e del peggiore performance status. Inoltre restano da chiarire la profondità della risposta necessaria prima del trattamento, così come un’ottimizzazione degli approcci nel allo-SCT.
Agenti ipometilanti (HMA)
La terapia con HMA è un approccio scelto da molti clinici per quei pazienti non idonei a IC e allo-SCT. La base biologica per l’utilizzo degli HMA in MPN-AP/BP è supportata in parte dalla scoperta che l’ipermetilazione dei geni p15 e p16 è stata associata a MPN-BP. L’evidenza ha quindi suggerito che le cellule derivate da MPN con aberrante metilazione del DNA erano sensibili alla terapia con HMA.
Approcci combinati con JAKi
Mentre le risposte al singolo agente ruxolitinib (inibitore JAK – JAKi) sono modeste e non sembrano modulare significativamente la traiettoria della malattia o migliorare la sopravvivenza, in due piccole serie di casi è stata osservata la fattibilità della combinazione di ruxolitinib con HMA/citarabina a basso dosaggio o IC, in modo sicuro, per la gestione della MPN-BP.

Nuovi agenti terapeutici

Esiste un’ampia gamma di agenti promettenti già testati in studi clinici che sono di interesse per pazienti con MPN in fase blastica o accelerata. Molti di questi, che hanno risultati promettenti da studi in monoterapia in corso, possono essere sperimentati in approcci combinati tra loro o con HMA in un contesto non intensivo.

Inibitori MDM2
Inibitori BCL-2
Citarabina e daunorubicina liposomiale
Inibitori di IDH1/IDH2
Inibitori di BET
Inibitori delle HDAC
Inibitori della telomerasi
Inibitori di LSD1

Conclusioni

L’evoluzione delle neoplasie mieloproliferative in fase AP/BP rappresenta una complicanza critica nella storia naturale delle MPN con esiti nella gran parte sfavorevoli, ad eccezione di pochi pazienti idonei al trapianto di cellule staminali (sebbene anche in questo caso i risultati siano ancora non ottimali). La grande maggioranza dei casi è sottoposta invece a una terapia non intensiva che combina HMA e JAKi con benefici relativamente modesti o solo come terapia di supporto.
In un futuro prossimo, sarà quindi fondamentale approfondire ulteriormente i meccanismi biologici presenti alla base, così come sviluppare migliori sistemi prognostici. Infine, sarà fondamentale sviluppare studi clinici con i nuovi agenti terapeutici combinati che mirino a superare i meccanismi di resistenza al trattamento, così come studi clinici su allo-SCT con l’obiettivo di identificare regimi di condizionamento ottimali e strategie di deplezione dei linfociti T.

Bibliografia

Saha C et al. Addressing the challenges of accelerated and blast phase myeloproliferative neoplasms in 2022 and beyond. Blood Rev 2022; 100947.
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